mercoledì 29 settembre 2021

36 - TRANSIZIONE ECOLOGICA E RI-DISEGNO URBANO

Ho avvertito l’esigenza di completare con le brevi note che seguono il discorso cominciato con il post precedente sulla RIPRESA ECONOMICA, SUPERBONUS E DECRESCITA FELICE, al quale rimando preliminarmente.

Gli effetti positivi della manovra del SuperBonus interessano gli edifici residenziali o convertiti come tali a seguito di un cambio di destinazione d’uso, ma risulteranno limitati in termini economici e, soprattutto, di qualità della vita se parallelamente non si ridisegnano i nostri centri urbani, integrati con il circostante spazio naturale (la campagna).

Da un lato è dato osservare come la pandemia ancora in corso abbia amplificato gli effetti deleteri e gli scompensi del vivere in città, per cui molti nostri borghi sono sembrati una sorta di rifugio, proprio come nei secoli passati in occasione delle periodiche pestilenze; dall’altro, le possibilità offerte dalle tecnologie di telecomunicazione allo smart-working consentono la de-localizzazione e il lavoro da casa per molte attività.

In quest’ottica si può e si deve ripensare ai luoghi dell’abitare, dalla casa alla città.

Al fine di evitare di essere eccessivamente noioso e pedante, visto che mi occupo per professione di tale materia, procederò per parole-chiave (aria, sole, verde, sostenibilità, spazi pubblici, identità locale, spazi vuoti, perequazione), con pochi cenni ad argomenti che meriterebbero ben maggiore spazio di approfondimento.

L’Urbanistica, intesa come disciplina che si occupa dell’ordinato sviluppo dei centri urbani (i quali, come ha osservato Benevolo, esistono per una necessità storica, che ha avuto un inizio e può avere una fine) nacque a partire dalle indagini socio-sanitarie della metà dell’800 sulle precarie-miserevoli condizioni cui erano costretti i lavoratori della nascente industria, trasferitisi in massa dalle campagne in città.

La funzione e la connotazione formale della città storica ne risultarono sconvolte, a causa di un carico di utenza enormemente amplificato, relegato in periferie che crescevano in modo disordinato e pericoloso per l’assenza di condizioni igieniche, tali da minacciare, a un certo punto e proprio attraverso le epidemie, persino le classi più agiate che vivevano nei quartieri di lusso.

Fu giocoforza occuparsi del problema (almeno delle condizioni di vivibilità in termini di aria e sole, divenuti poi rapporti aero-illuminanti minimi nella normativa edilizia), ma quasi mai le soluzioni adottate si rivelarono completamente all’altezza, come mostrano le congestioni, i disagi, le inefficienze e le brutture ben visibili oggi.

Il verde rappresenta il tessuto connettivo tra città e campagna e tra i diversi ambiti cittadini a diversa scala (casa, vicinato, rione, quartiere), come mostra l’immagine tratta dal sito transect.org al quale si rimanda.

Esso acquista oggi una valenza ancora maggiore rispetto al passato: sia in campagna, data la fragilità del territorio italiano soggetto a frequenti dissesti idro-geologici amplificati dal cambiamento climatico in atto, sia in città, in quanto elemento che mitiga effetti negativi quali l’inquinamento atmosferico e le isole di calore. Intervenire in questo settore con le attuali tecniche di ingegneria naturalistica e di urban forestry assicurerebbe migliori condizioni di vita e una forte occupazione, trattandosi di lavori ad alta intensità di manodopera e a bassa intensità di capitale.

La sostenibilità del ri-disegno urbano comporta un’attenzione particolare alle esigenze del traffico cittadino (non certo risolvibile con gli sciagurati incentivi per l’acquisto di monopattini) e dell’auto-produzione-consumo energetico, valutando a scala urbana e non solo familiare o condominiale il rapporto consumi-produzione: le tecnologie in questi settori sono abbastanza mature da consentire soluzioni soddisfacenti, se adottate con consapevolezza e razionalità.

Gli spazi pubblici, intesi come strade, piazze, slarghi, giardini, richiedono un adeguato ridisegno e manutenzione per cercare di risolvere i problemi del traffico e dei rapporti sociali tra i cittadini, rapporti che non possono essere confinati solo in ambienti chiusi e club ristretti. 
Il pensiero della prossimità deve utilmente guidare questi interventi, assicurando a un tempo il rispetto delle preesistenze e la caratterizzazione funzionale e formale dei luoghi: in altri termini, la loro identità (genius loci, secondo la felice definizione di Norberg-Schulz), di contro alle periferie anonime generate dall’edificazione selvaggia del secondo dopoguerra. 
Il dialogo continuo tra cittadini, amministrazioni e tecnici deve diventare il modo ordinario di procedere per cercare soluzioni valide, utilizzando le tecniche e gli strumenti messi a punto dalla ricerca urbanistica più recente.

Gli spazi vuoti cittadini e le frange disordinate delle periferie sono nati da una speculazione edilizia, che ha spesso violentato il paesaggio naturale, e da una regolamentazione urbanistica attenta, nel migliore dei casi, al solo rispetto di parametri quantitativi (i cosiddetti standards urbanistici, i quali stabiliscono un rapporto minimo tra volumi edificati e superfici destinate al verde, alle infrastrutture e agli spazi pubblici, costituiscono una condizione necessaria ma non sufficiente per assicurare condizioni di vita qualitativamente accettabili). Tali ambiti, che si configurano spesso come terre di nessuno, devono diventare terre comuni, con una loro identità formale e funzionale, proprio come nel passato lo erano i cortili, gli slarghi e le piazzette, estensione all’aperto degli ambienti delle case di un vicinato o di un rione.

Ultimo, ma non meno importante, il problema della rendita fondiaria di posizione, molto spesso all’origine di disastrosi interventi di edificazione. Si tratta di quel fenomeno (politico-economico, non certo naturale) per cui chi possiede un terreno può essere svantaggiato o avvantaggiato (enormemente) dalle disposizioni di un Piano regolatore; tanto che un terreno a destinazione agricola di valore 1 prima dell’approvazione dello strumento urbanistico generale, assume valore 10 a seguito della destinazione a zona di espansione edilizia prevista dal suddetto piano, i cui costi sono però a quasi totale carico della collettività.
Le ricerche sull’argomento, ormai mature e condotte da ammirevoli giuristi come Stella-Richter, hanno prospettato democratiche soluzioni di perequazione della rendita fondiaria, adottabili se vi è la necessaria conoscenza da parte dei cittadini e la conseguente politica delle amministrazioni.

Credo che la transizione ecologica, talvolta sbandierata a sproposito da saccenti politici di turno, passi anche attraverso gli argomenti sopra esaminati.


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