giovedì 10 novembre 2022

39 - De humana simplicitate

Si racconta che in un giorno di estate di tanti tanti anni fa, un principe persiano, passeggiando nei giardini del suo palazzo durante la pausa pomeridiana per godere della frescura naturale della vegetazione che vi cresceva rigogliosa, scorse in un angolo un po' remoto due suoi funzionari che, appartati, sedevano su piccoli sgabelli sotto una maestosa palma; i due stavano in silenzio e sembravano meditare fissando un basso tavolino posto tra di loro, sul quale era poggiato qualcosa che il principe, data la lontananza, non riusciva a scorgere.

Incuriosito, si avvicinò ai due e vide che l’oggetto della meditazione era una tavoletta suddivisa in riquadri colorati alternativamente di bianco e di nero; su queste caselle poggiava una sorta di piccole sculture in legno intagliato, dalle forme che vagamente ricordavano una torre, un re, un cavallo e altre figure di più difficile identificazione.

Il principe chiese ai due funzionari che cosa stessero facendo; apprese così che essi stavano cimentandosi in un gioco che egli non conosceva, quello degli scacchi, una sorta di battaglia simulata che si svolgeva muovendo i pezzi (così si chiamavano le piccole sculture) in modi prestabiliti e particolari per ciascuno di essi.

Risultava vincitore colui che, infine, riusciva a immobilizzare il re, la figura più grande riconoscibile dalla testa coronata.

Sempre più avvinto da quel gioco di cui riuscì sommariamente a comprendere la logica, anche grazie alle spiegazioni che i suoi funzionari gli davano quando muovevano un pezzo, rientrò dopo quasi un’ora di piacevole svago nella sala principale, dove quotidianamente riceveva i suoi sudditi per le suppliche e per decidere su eventuali dispute e litigi sorti tra di loro; chiamò quindi il suo visir per chiedergli di informarsi chi nel suo regno aveva fama di migliore giocatore di scacchi e di convocarlo a corte.

Dopo qualche giorno, assolto il compito assegnatogli, il visir si presentò al principe con un vecchio magrissimo e dalla lunga barba bianca, vestito con una tunica che aveva visto tempi migliori e che probabilmente doveva essere una sorta di abito quattro stagioni.

Il vecchio si aiutava con un bastone, segno evidente dell’età avanzata e delle forze ormai esigue che lo mantenevano in vita; tuttavia, il principe notò che lo sguardo era ancora vivace e sembrava cogliere ogni particolare, un po’ come fanno i bambini quando vedono qualcosa per la prima volta.

Il visir presentò al principe il vecchio come un saggio che conduceva una vita da eremita, accogliendo spesso le richieste di consiglio di povera gente che in cambio gli lasciava una ciotola di riso, del latte e qualche dattero, per un sostentamento ai limiti della sopravvivenza.

Unico svago che il vecchio si concedeva erano proprio gli scacchi, per cui fu ben lieto di accettare la richiesta di insegnamento da parte del principe.

Nei mesi a venire, il vecchio si recò quasi quotidianamente a palazzo, fino a che non ritenne che il suo regale allievo fosse diventato abbastanza abile da poter competere con altri giocatori.

Felice del risultato raggiunto, il principe disse al saggio che intendeva ricompensarlo adeguatamente: gli chiedesse pure ciò che voleva e sarebbe stato esaudito.

Dapprima ritroso, solo a seguito delle ripetute insistenze del principe il vecchio saggio acconsentì:

- Principe, mi basta poco e non nutro alcun desiderio di oggetti preziosi; però mi farebbe comodo avere una buona scorta di riso per gli anni che mi restano da vivere.

- Chiedi pure quanti sacchi te ne occorrono - rispose il principe sorridendo - credo proprio che le mie dispense siano sufficientemente fornite per soddisfare le tue esigenze.

- Ritengo che possa bastarmi una quantità di riso così calcolata: un chicco per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda casella, quattro per la terza, otto per la quarta e così via, raddoppiando ogni volta il numero di chicchi per ogni casella rispetto alla precedente.

- Sei sicuro? Mi sembra una quantità davvero misera - osservò il principe, cominciando a dubitare delle facoltà mentali del vecchio.

- Sono sicuro, tanto mi basta.

Il principe chiamò allora il suo visir e gli ordinò di predisporre la fornitura di riso per il vecchio, calcolandola nel modo alquanto bizzarro che il saggio aveva indicato.

Sul finire della giornata, assai preoccupato il visir si presentò al principe per informarlo che, dopo ripetuti calcoli dei matematici di corte, le dispense del principe non erano tanto fornite da soddisfare la richiesta del vecchio.

Dapprima infuriato, sia perché non riusciva a sdebitarsi, sia perché pensava di essere ben più ricco, cominciò a riflettere; quindi sorrise quando alla fine capì che quella era stata l’ultima lezione del suo maestro, la più importante.

 *         *          *

Usando la simbologia matematica moderna, possiamo esprimere il numero di chicchi di riso (N) presenti su ciascuna casella (c) mediante la funzione esponenziale:

N = 2^c    (si legge N uguale a 2 elevato a c)

nella quale c è un numero intero positivo progressivo, cominciando ad attribuire 0 alla prima casella, 1 alla seconda, 2 alla terza e così via, sino a 63 per l’ultima casella (la scacchiera è composta da 8 x 8 = 64 caselle); la stessa espressione si può riguardare come progressione geometrica di ragione 2.

Infatti:

N = 2^0  = 1 per la prima casella

N = 2^1 = 2 per la seconda casella

N = 2^2 = 4 per la terza casella

N = 2^3 = 8 per la quarta casella

e così via.

L’espressione finale

N = 2^63

dà effettivamente come risultato un numero enorme di chicchi di riso per il quale le dispense del principe non erano sufficientemente fornite.

È proprio vero che la semplicità non è ingenuità, ma profondità nascosta alla superficie.

Giuseppe Ruggiero, 10 Novembre 2022

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